Affido esclusivo: la diagnosi di Sindrome da Alienazione Parentale non basta
Affido esclusivo: la diagnosi di Sindrome da Alienazione Parentale non basta
Spesso, purtroppo, accade che il genitore affidatario o collocatario di un minore si renda responsabile di comportamenti che influiscono negativamente sui rapporti tra il minore e l’altro genitore, in modo tale da impedirne od ostacolarne i sereni rapporti. In presenza di tali situazioni, si parla spesso di “alienazione parentale”.
Da tempo ci si interroga, dal punto di vista prettamente scientifico, sull’esistenza di una vera e propria Sindrome da Alienazione Parentale (PAS).
La Corte di Cassazione (sentenza n. 6919/2016) ha peraltro evidenziato che non compete ai giudici dare giudizi sulla validità o invalidità delle teorie scientifiche sulla PAS, ma spetta ad essi invece capire e adeguatamente motivare sulle ragioni delle difficoltà nei rapporti tra figlio e genitore non convivente, utilizzando i comuni mezzi di prova tipici e specifici della materia, incluso l’ascolto del minore, ed anche le presunzioni, qualora un genitore denunci comportamenti ostativi dell’altro genitore affidatario o collocatario, che provocano l’allontanamento morale e materiale della prole da sé, condotte indicate come significative della presenza di una PAS .
Con un’interessante sentenza (n. 13274 del 18/5/19), la Cassazione è intervenuta nuovamente sulla materia dell’alienazione parentale, rappresentandone sostanzialmente il rovescio della medaglia.
Se da un lato infatti il Giudice ha il compito di verificare la sussistenza di comportamenti ostativi del genitore collocatario a prescindere dall’accertamento scientifico dell’esistenza di una Sindrome da Alienazione Parentale, dall’altro la sola diagnosi effettuata in sede di accertamento tecnico non può da sola motivare l’allontanamento del figlio dal genitore collocatario ed il suo affido esclusivo all’altro.
Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva disposto l’affido esclusivo di un figlio ad un padre, sottraendolo alla madre collocataria, in quanto il Consulente tecnico nominato a suo tempo dal Tribunale, incaricato di valutare la condotta di entrambi i genitori, aveva diagnosticato l’esistenza di una PAS.
Accogliendo il ricorso della donna, la Suprema Corte ha evidenziato che il Giudice ha errato nel motivare la propria decisione mediante il solo richiamo alle risultanze della consulenza.
Considerato infatti che ad oggi l’esistenza della PAS non ha basi scientifiche certe, la Corte d’Appello avrebbe dovuto compiere un approfondito accertamento della reale situazione, e non basarsi esclusivamente su una valutazione di carattere scientifico. Nello specifico, secondo la Corte sarebbe stato opportuno che il Giudice di merito disponesse, come richiesto dalla madre, una nuova consulenza tecnica.
Decisiva è stata inoltre la mancata audizione del minore. Questi era infatti stato ascoltato solo dai consulenti nominati dal Tribunale. Nonostante fosse trascorso diverso tempo, la Corte d’Appello ha ritenuto di non procedere ad una nuova audizione, ritenendola non necessaria e addirittura contraria al suo interesse. La Suprema Corte ha ritenuto invece che il tempo trascorso dall’audizione del minore imponesse il rinnovo del suo ascolto, anche con il supporto di esperti.
Avv. Marco Schirru